Già nel 1990 il Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) ha osservato che il maggiore impatto del cambiamento climatico potrebbe essere quello sulla migrazione umana, con milioni di persone sfollate a causa dell’erosione della costa, delle inondazioni costiere e delle distruzioni agricole. |
In parole povere, il cambiamento climatico causerà spostamenti di popolazione rendendo alcune parti del mondo molto meno abitabili, rendendo le scorte di cibo e di acqua più inaffidabili e aumentando la frequenza e la gravità delle inondazioni e delle tempeste. Le aree stesse saranno troppo calde e secche – la percentuale di terra in costante siccità dovrebbe passare dal 2% al 10% entro il 2050. D’altra parte, il cambiamento del regime delle precipitazioni e un ciclo idrologico più intenso implicano che gli eventi meteorologici estremi come siccità, tempeste e inondazioni diventeranno sempre più frequenti e gravi. |
Altrettanto importanti, però, sono i fattori non climatici. È chiaro che molte catastrofi naturali sono, almeno in parte, “causate dall’uomo”. Un pericolo naturale (come una tempesta in arrivo) diventa un “disastro naturale” solo se una comunità è particolarmente vulnerabile ai suoi impatti. Un tifone tropicale, ad esempio, diventa un disastro se non c’è un sistema di allerta precoce, le case sono mal costruite e la gente non sa cosa fare in caso di tempesta. La vulnerabilità di una comunità, quindi, è una funzione della sua esposizione alle condizioni climatiche ( ad esempio una località costiera) e della capacità di adattamento della comunità (la capacità di una particolare comunità di resistere al maltempo) e di riprendersi dopo la tempesta.
Regioni, paesi e comunità diverse hanno capacità di adattamento molto diverse: i gruppi pastorali del Sahel, ad esempio, sono socialmente, culturalmente e tecnicamente attrezzati per affrontare una varietà diversa di rischi naturali rispetto, ad esempio, agli abitanti delle montagne dell’Himalaya. La ricchezza nazionale e individuale è un chiaro fattore di vulnerabilità, che consente una migliore capacità di riduzione del rischio di catastrofi, di educazione alle emergenze e di risposte più tempestive. Nel decennio dal 1994 al 2003 i disastri naturali nei paesi ad alto sviluppo umano hanno ucciso in media 44 persone per ciascun evento, mentre i disastri nei paesi a basso sviluppo hanno ucciso in media 300 persone in ogni evento.